Domani il catalano taglia il traguardo dei cinquant’anni: tempo di bilanci. Nella sua carriera trofei, amicizie e rivoluzioni. Il futuro potrebbe portarlo in Italia
La curiosità, l’intelligenza e il talento: sono le tre qualità che deve possedere un uomo per partire da un paese di settemila abitanti come Santpedor per diventare uno degli allenatori che hanno scritto la storia del calcio. Domani Pep Guardiola festeggia 50 anni e, nell’innegabile bilancio che si fa quando si compie mezzo secolo, può riempire molte caselle con il segno positivo. Ha dato un senso alla sua vita svolgendo, molto bene, tutte le attività che ha intrapreso: calciatore prima e allenatore poi. Ha costruito un patrimonio solido di affetti: la moglie Cristina, i figli Mariùs, Maria e Valentina. Ha dato lustro al concetto della parola amicizia, creando un gruppo di persone che lo ha accompagnato e lo accompagna: l’ex pallanotista Manuel Estiarte – forse la persona più vicina in assoluto a Pep, tutto cominciò in una festa per un titolo conquistato dal Barcellona negli anni 90 -il direttore tecnico Txiki Begiristain, il CEO Ferran Soriano, il preparatore atletico Lorenzo Buenaventura, l’assistente Juan Manuel Lillo, l’analista Carles Planchart. Un cerchio magico, che vive e condivide le giornate di Pep dalla colazione che si consuma ogni mattino nella sala ristorante del centro sportivo del Manchester City, fino alle ultime parole della sera, quando Guardiola dedica i residui pensieri al calcio.
La missione
—Il più grande visionario del football moderno pensava di non invecchiare svolgendo la sua professione. Immaginava nuovi orizzonti. La curiosità lo spingeva verso altre praterie. Il traguardo dei 50 anni coincide invece con una ritrovata voglia di proseguire il cammino intrapreso nel 2007, quando mosse i primi passi di allenatore-maestro. Il tempo che scorre ha aumentato la passione, o, forse, l’ossessione. Pep ha prolungato il contratto con il Manchester City fino al 2023, stabilendo un primato personale: sette anni nello stesso club. Neppure nel Barça, il suo Barça, era arrivato a tanto. Alla pioggia e al grigio di Manchester, Pep ha ritrovato il sole dell’ispirazione. In questa avventura inglese, il suo sistema si è aggiornato, è migliorato, ha regalato momenti di calcio sublime. Non era facile accettare e vincere la sfida del campionato più ricco e più difficile del mondo, ma lui è andato oltre: ha stravinto. Il Treble del 2018-2019 è storia. Pep vuole completare la sua missione, centrando l’impresa delle imprese: la Champions. Poi sarà tempo di voltare pagina e l’Italia, di cui è pazzo, è in cima ai suoi desideri.
L'eredità di Cruijff
—Nei pensieri di domani, quando brinderà ai 50 anni, apparirà il volto di una persona che ha segnato la sua vita e non c’è più: Johann Cruijff. Guardiola fu folgorato dalle idee dell’olandese quando era ancora un ragazzo della cantera. Lanciato in prima squadra nel 1990, Pep iniziò presto a parlare di calcio con Cruijff. Domande, domande, ancora domande. Una curiosità irrefrenabile. Il fuoriclasse olandese disse un giorno di lui: "Pep è un grande giocatore e diventerà un grandissimo allenatore". Guardiola rappresenta l’evoluzione del pensiero di Cruijff: dal 3-4-3 al 4-3-3, con un pressing più alto e più asfissiante, diventato un cult quando il 29 novembre 2010 il Barcellona di Pep demolì il Real Madrid di Mourinho con un 5-0 che ha segnato la storia. Il tiqui-taca – termine coniato dal giornalista Andrès Montes – è stato la variante iberica del calcio olandese: meno forza fisica e più palleggio, tanto palleggio, da ubriacare e ubriacarsi. Qualcosa di più di un semplice sistema di gioco: è una rappresentazione della cultura spagnola. Il paradosso è che sia stato Guardiola, catalano e indipendentista, a diventare il suo profeta. Un calcio che non è alla portata di tutti e per tutti. Non sono sufficienti solo un’eccellente tecnica di base e un profondo senso del collettivo: bisogna aderire al suo manifesto, il famoso motto di Pep. "Primo, bisogna sapere che cosa fare. Secondo, bisogna sapere come fare". E non basta iscriversi al partito: è necessario diventarne i suoi dirigenti: "Non voglio followers. Voglio leader". Il Barcellona di Pep è stato una fabbrica di leader: Xavi, Iniesta, Busquets, Puyol e l’immensità dei nostri tempi, Leo Messi. Solo Ibrahimovic non volle iscriversi al partito, ma era scritto che due ego così profondi non potessero convivere.
La curiosità
—La ricerca di migliorarsi ha portato Pep nel corso degli anni non solo a modificare e rielaborare il suo calcio, ma lo ha introdotto in nuovi mondi. Ama la musica, in profondità. Nei quattro mesi vissuti a Roma, scoprì i testi di Francesco De Gregori. Una sera, Pep fu ospite a casa dell’artista romano: parlarono di calcio, di canzoni e di vita. A New York, volle conoscere il campione di scacchi Garry Kasparov. Pep era affascinato dalle strategie della tavola quadrata, convinto che avrebbero arricchito il suo calcio. Amante di tutti gli sport, ha già indicato a che cosa si dedicherà nella prossima vita: il golf. Nel tavolo del suo ufficio, ci sono una statuetta di Cruijff, due computer, penne, matite, libri, fogli. A sinistra, la lavagna con l’agenda settimanale. All’altro lato, un pensiero di Marcelo Bielsa, altro punto di riferimento: "Il successo deforma, rilassa, inganna, ci rende peggiori, ci fa innamorare di noi stessi. La sconfitta, al contrario, ci rende più forti". Pep ama la buona cucina e un sorso di vino, ma a fine pasto beve acqua calda "perché aiuta la digestione". Sul peso è inflessibile. Ha trovato in Silvia Tremolada, un’ex triatleta di Madrid, la perfezione: ha inventato l’alimentazione creativa. Messi, Iniesta, Xavi, Puyol, i 29 trofei da allenatore, i premi, la ricchezza, il prestigio, la passione per la politica – gli indipendentisti catalani gli hanno chiesto più volte di scendere in campo -, Cruijff, Barcellona e persino gli antichi rivali, come Mourinho, che domani gli farà gli auguri: scorreranno molte immagini nel brindisi dei 50 anni. Mezzo secolo pieno, con il dolore profondo per la scomparsa nel 2020 della madre Maria Dolors, vittima del Covid, e l’enorme spavento la sera dell’attentato del 22 maggio 2017 – 23 morti e 250 feriti -, quando al concerto di Ariana Grande, alla Manchester Arena, erano presenti la moglie Cristina e le figlie. Si salvarono, neppure un graffio. Il giorno dopo, anche Pep e la sua famiglia deposero un fiore di fronte la chiesa di Saint Ann’s Square.
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