Come Manè, il centrocampista del Liverpool ha origini molto umili. La sua scalata? Merito dell'intuito di Valderrama...

La fame del Liverpool che insegue un clamoroso Quadruple – Premier, F.A. Cup, Champions, dopo aver già vinto la Coppa di Lega – non è solo metaforica. La semifinale di ritorno con il Villarreal l’hanno svoltata Luis Diaz, anche autore del gol del pareggio, e Sadio Mané, che ha segnato la rete della vittoria. Il colombiano e il senegalese la fame, quella vera, l’hanno sofferta davvero.

Povertà

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Mané l’ha già soddisfatta nel recente passato – è al Liverpool dal 2016, ha già vinto tutto – ma non dimentica le umili origini, come dimostra la foto virale di qualche tempo fa in cui si vedeva il vetro spaccato del suo cellulare: "Ho sofferto la fame, ho giocato scalzo, non sono andato a scuola, sono sopravvissuto a tempi difficili. Perché dovrei volere dieci Ferrari, venti orologi di diamanti e due aerei? Con quello che guadagno posso aiutare gli altri". E infatti in Senegal costruisce scuole, uno stadio, regala vestiti e scarpe e alimenti a chi vive in estrema povertà. Diaz ha vissuto in condizioni simili. Ha "già" 25 anni ed è sul Mersey solo da gennaio, dopo tre anni di Porto. Al calcio è arrivato tardi. O meglio, è stato scoperto tardi. È nato e cresciuto in una "rancheria" di La Guajira, una regione vicina alla costa caraibica e all’ombra della Sierra Nevada, vicino alla miniera di carbone di Cerrejon. Una zona poverissima dove la corruzione è diffusissima. I soldi scarseggiavano. Anche perché, come suggeriscono i tratti somatici, Luis è di etnia Wayuù, popolazione indigena diffusa tra Colombia e Venezuela. Luis giocava a calcio nella squadra allenata dal padre. Era bravo, ma nessuno lo sapeva. Proprio grazie alle sue origini Wayuù, tuttavia, nel 2015 fu invitato a Bogotà per unirsi a un campo di "addestramento" per individuare giocatori per la Copa America de Pueblos Indigenas, torneo "parallelo" alla Copa America tradizionale riservato alle popolazioni precolombiane.

Ascesa

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In realtà, si è giocata una sola edizione, proprio quella del 2015, in Cile, dove la Colombia di Luis Diaz arrivò in finale perdendo dal Paraguay. Diaz si fa notare, gioca tutte le partite, segna 2 gol. Ma il suo aspetto fisico non convince. È troppo magro. Certo, il cibo in tavola a casa, nell’accampamento di La Guajira, era sempre poco. Il direttore tecnico di quella Colombia indigena però ha la vista lunga: è Carlos Valderrama, sì proprio il ricciolone biondo con il numero 10 degli Anni Novanta. Lo segnala al Barranquilla, che dà una possibilità al diciottenne Luis. Che mette su chili e muscoli. È il 2016 e da lì inizia l’ascesa. Nel 2017 è all’Atletico Junior, nel 2019 Gallardo lo vorrebbe per il suo River Plate ma il colombiano sbarca in Europa, al Porto. Nel 2021 gioca la Coppa America, quella vera. Segna 4 gol, quanto Leo Messi. E a gennaio eccolo al Liverpool, che lo paga 45 milioni di euro. "Barato", direbbero a La Guajira. Poco, per quel che vale.

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