Un monumento che metteva in soggezione pure Pelé, il padre di tutti gli “esterni alti”, una carriera da ricostruire, la telefonata di un amico, un maestro di calcio, una storia tra Belo Horizonte e la provincia italiana

Quel signore arrivava al campo mezz'ora prima dei suoi ragazzi, lo percorreva avanti e indietro con il passo regale del padrone del podere, chinandosi di tanto in tanto per strappare dal terreno qualche erbaccia cresciuta storta. Poi soddisfatto misurava con lo sguardo la buona riuscita della sua operazione. I primi che arrivavano al campo in sella alle biciclette Graziella, ai motorini Ciao o scarrozzati dalle Fiat Panda dei genitori, lo vedevano camminare e poi, improvvisamente, come un tic, piegarsi in avanti e accarezzare il prato. In quella carezza furtiva, solo pochi coglievano la riconoscenza. Quando arrivava l’ora di cominciare l’allenamento, il signore radunava attorno a sé i ragazzini e custodendo tra i piedi un pallone di cuoio alzava lentamente la gamba nell’atto di colpirlo e solo in quel momento - come per magia - quel signore tornava il fuoriclasse che era stato, il due volte volte campione del mondo, l’uomo verso cui anche il grande Pelé aveva avuto soggezione.

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