Mourinho (e Dybala) a Torino. E poi Inter e Napoli contro Lazio e Fiorentina: le tre capolista affrontano test seri. A Cremona una partita che ci piace un... Mondo. E in Spagna un derby di... Serie

Era il 7 novembre 2018, Juventus-Manchester United di Champions. Lo Stadium assordò José Mourinho, gli fece sentire il fragore dei nemici, insulti e quant’altro. Lo United vinse per 2-1 con un autogol di Bonucci al 90’ e Mou si rivolse al pubblico ostile con il gesto dell’orecchio: "Come dite? Non vi sento". Bonucci corse a redarguirlo: "Non si fa così, mister". Si fa, siamo uomini, siamo imperfetti, siamo peccatori e non sempre porgiamo l’altra guancia. Mourinho è ritornato allo Stadium un anno fa e ha perso per 1-0, gol di Kean, ma la sua Roma non era ancora tale. Ora va a Torino da primo in classifica, per effetto delle vittorie contro Salernitana e Cremonese, e la partita gli serve per capire quanto è cresciuta la Roma, quanto è diventata matura nella gestione delle avversità, gli infortuni di Wijnaldum e Zaniolo nello specifico. Troverà una Juve in preda a shopping compulsivo. A Torino comprano giocatori, uno dietro l’altro, anche perché il gioco non si può acquistare, bisogna darselo. Per Allegri sarà una serata di frontiera: ha perso due punti a Genova contro la Sampdoria e qualunque risultato diverso dalla vittoria farebbe alzare altre sopracciglia. Il pericolo non viene soltanto da Mou, con il suo passato da interista-esorcista. Juve-Roma di domani è la partita del grande ritorno di Paulo Dybala allo Stadium. Uno scherzo del calendario, lo stesso Dybala si sarebbe augurato Juve-Roma più in là. Il distacco è ancora fresco, vivido, lacerante. Non ci sono mezze misure in situazioni tanto estreme, o si dà il meglio o si viene soverchiati dalle emozioni. Dybala ha lo sguardo gelido, chissà il cuore.

Una vittoria al fotofinish contro il Lecce e un’altra larga contro lo Spezia. Stasera la prima verifica di livello per l’Inter a punteggio pieno, nel quadro di una partita che nella scorsa stagione costò a al grande ex Simone Inzaghi la sconfitta numero uno in campionato, il 3-1 rocambolesco della metà di ottobre. Qualcosa è cambiato, è tornato Romelu Lukaku. Copertina facile, Lukaku contro Ciro Immobile, diversamente centravanti, ma neppure troppo. Sono due "9" che declinano la potenza in modi differenti. Le cifre impressionano: 267 gol di Lukaku in 554 gare, 261 Immobile in 456. Lukaku avanti di sei gol, ma Immobile ha una media migliore

Il Napoli come l’Inter e la Roma: primo in classifica, forte di due vittorie rotonde contro Verona e Monza, non proprio avversari di primo piano, come nel caso delle altre due capolista. Lunedì a Firenze il livello si alzerà, la Fiorentina è una squadra strutturata. E la partita sarà utile per testare una volta di più Kvaratskhelia, il georgiano fenomenale, planato sulla Serie A come un alieno. Non che si siano dubbi residui, quel che ha mostrato "Kvara" in due giornate è sufficiente per definirlo un progetto di fuoriclasse. Ha doti importanti, una “combo” di tecnica e fisicità. Ha piedi jazz, raffinati, e gambe rock, esplosive. È impossibile stabilirne i limiti e gli orizzonti, ha solo 21 anni.

Da giocatori hanno incarnato a modo loro la figura del numero 8, che nel calcio di una volta esprimeva corsa e geometria allo stesso tempo. Sia Gennaro Gattuso, numero 8 di fatto e di maglia, sia Diego Simeone, che preferiva indossare la 14, numero impegnativo perché evoca sempre Johan Cruijff, sia l’uno sia l’altro erano degli 8 combattivi e combattenti. L’etichetta però è riduttiva, perché Gattuso e Simeone non difettavano per tecnica di base. Conoscevano l’arte, ma interpretavano un’altra parte. Da allenatori sono rimasti fedeli al numero 8, più Simeone di Gattuso, a dire la verità, perché Gattuso è stato folgorato dalla costruzione “bassa”. Simeone preferisce distruggere le costruzioni altrui, basse o alte che siano. Lunedì si affrontano da pari a pari in classifica: tre punti Gattuso e tre Simeone, una vittoria e una sconfitta ciascuno. Tutti e due hanno perso alla seconda, Gattuso a Bilbao e Simeone in casa contro il Villarreal. Valencia-Atletico non farà sconti: chi soccomberà entrerà in crisi. Il pari come male minore.

Cremonese, Torino e Atalanta, in ordine di apparizione: sono le tre squadre della vita e delle opere di Emiliano Mondonico (1947-2018), il ragazzo che si faceva espellere apposta per andare ai concerti dei Beatles e dei Rolling Stones. Cresciuto nella Cremonese, ala destra del Toro nel 1968 e nel solco di Gigi Meroni, inarrivabile predecessore. Poi allenatore, mentore di Vialli a Cremona e agitatore di sedie al Torino. Cremonese-Torino di domani è la sua partita, manca giusto l’Atalanta, ma la Serie A non è un triangolare. Chiedeteci chi era Mondonico, per parafrasare gli Stadio, anche se Emiliano amava i Nomadi. Era un uomo buono, prima ancora che un valente uomo di calcio. Portava il baffo padano, alla Ligabue nel senso del pittore. Pungeva con l’ironia leggera dell’uomo di fiume.

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