I ragazzi di Guardiola conquistano il titolo dopo la rimonta perfetta. Decide la vittoria del Nottingham Forest sui Gunners, all'Etihad Stadium domani contro il Chelsea sarà festa grande

Dal nostro inviato Davide Chinellato

Ancora campioni. La Premier è di nuovo del Manchester City, per il terzo anno di fila e la quinta volta nelle ultime 6 stagioni. La certezza del titolo stavolta arriva senza giocare, con Guardiola e i suoi giocatori davanti alla tv a guardare l’Arsenal perdere 1-0 in casa del Nottingham Forest (che così conquista la salvezza). Era il risultato che serviva, quello che certifica il tris senza bisogno che i campioni in carica e neocampioni battano domani il Chelsea in casa. All’Etihad sarà comunque una domenica di festa: gli uomini di Guardiola riceveranno con due partite d’anticipo le medaglie e solleveranno il trofeo della Premier nell’ultima esibizione stagionale davanti ai loro tifosi. Il sogno è che sia solo il primo tassello di uno storico triplete, da completare con l’FA Cup (finale sabato 3 giugno a Wembley contro il Manchester United) e con l’ossessione Champions, Inter permettendo (finale il 10 giugno a Istanbul) per trasformare questa stagione in leggendaria.

APOTEOSI

—  

Vincere senza giocare toglierà anche un po’ di emozione, ma è comunque l’apoteosi dell’eccezionale rimonta Premier della squadra di Guardiola. Pep tra fine gennaio e inizio febbraio era convinto di aver perso il suo City, con 16 giocatori stroncati dal Mondiale nelle gambe e una squadra che, come ha detto più volte, aveva perso quella fame che invece aveva l’Arsenal, battistrada all’apparenza imprendibile con un girone d’andata da 50 punti e avanti a più riprese anche di 8 lunghezze. “Siamo diventati un club tutto rose e fiori: se giochiamo con questa voglia e determinazione, l’Arsenal ci farà a pezzi” aveva detto prima del primo confronto stagionale con i Gunners, il 27 gennaio nel quarto turno di FA Cup. Non solo il City non è stato fatto a pezzi in quel primo scontro diretto (vinto 1-0 anche se l’Arsenal avrebbe meritato di più), ma dopo il 5 febbraio in poi non ha più perso, cambiando marcia con 13 successi in 14 partite, comprese le ultime 11 consecutive. Un ritmo esagerato per l’Arsenal, che non ha retto il confronto e ha progressivamente perso terreno e condizione: nell’ultimo scontro diretto del 27 aprile all’Etihad, in quella che veniva presentata come una sorta di finale della Premier, il City ha fatto a pezzi i rivali per il titolo con la stessa disarmante superiorità con cui mercoledì scorso ha travolto il Real Madrid nella semifinale di Champions. E ha definitivamente messo le mani sul titolo.

I PROTAGONISTI

—  

Erling Haaland è il candidato forte a giocatore dell’anno in Premier: ha segnato 36 gol, facendo a pezzi quel record che Andy Cole prima e Alan Shearer poi avevano fissato agli albori della Premier e che pareva imbattibile. Il City però non ha vinto il titolo solo perché sul suo ciclone norvegese segna come nessuno aveva fatto prima. Questo è il titolo di una squadra magnifica, che se completasse il triplete potrebbe consacrarsi non solo la più forte dell’era Guardiola, ma trasformerebbe il City nella più grande dinastia del calcio inglese, come sostengono molti critici. È il titolo della determinazione, di una squadra reinventata quando Guardiola ha puntato su John Stones come terzino ibrido nel suo modulo mutaforma che da 4-3-3 diventa 3-2-4-1, col difensore dell’Inghilterra che avanza in mediana accanto a Rodri liberando Gündogan per l’attacco. È il titolo del genio di De Bruyne, della consacrazione di Grealish, di capitan Gündogan che nell’ultimo mese gioca “come il miglior Zidane” (per dirla come Kyle Walker), delle rivelazioni Akanji e Aké in difesa. È il titolo di Guardiola, del suo genio creativo, della sua capacità di fare gruppo, di trovare il modo perfetto di inserire un centravanti dal gol facile come Haaland in un gioco collaudato senza snaturare né lui né la squadra, di inserire quella piccola variante che alla fine fa la differenza.

LA RESA

—  

L’Arsenal fino a marzo pareva avere la Premier in mano, poi ha cominciato una resa stata lenta e sofferta, materializzatasi perdendo in casa 3-0 col Brighton domenica scorsa e diventata ufficiale con questo nuovo scivolone a Nottingham, nonostante l’80% di possesso palla e un assedio durato dal 19’, da quando Awoniyi in contropiede ha portato in vantaggio il Forest (5° gol a maggio per il nigeriano, più di tutti in Premier), che poi l’ha difeso fino alla fine conquistandosi la salvezza per la gioia del vetusto e assolato City Ground e dei suoi tifosi rosso Garibaldi. Il fatto che i Gunners non siano riusciti a sfondare mostra la loro involuzione: hanno pagato gli infortuni, una rosa troppo corta, la prima volta a questo livello per troppi elementi chiave della squadra di Arteta che non è più riuscita ad essere quella brillante della prima parte di stagione. La delusione di questo titolo perso nonostante gli 81 punti non deve però cancellare quella che resta la stagione della rinascita ad alti livelli dei Gunners: era dal 2007-08 che non mettevano insieme così tanti punti e hanno dimostrato di avere quello che serve per competere per qualcosa di grande. Solo che per battere il City, per battere la dinastia che sta trasformando la Premier in quel campionato che alla fine vince sempre la parte blu di Manchester, serve raggiungere un livello che per ora è impossibile per tutti gli altri.

Adblock test (Why?)