BENTORNATO TRA NOI!

E così anche la telenovela del logo è giunta al termine. Quanto ci ha fatto patire la sua assenza.
Tutto cominciò con un’altra, ennesima, pagina funesta che ha contraddistinto il mondo rossonero. E di quelle pagine quanti ne son fuggiti disgustati da un calcio sempre più malato, sempre alla mercè di “incantatori di serpenti” sempre pronti ad entusiasmare, per poi puntualmente lasciarci nella disperazione.

Ma non tutti hanno mollato, e del resto come si fa a mollare quando la passione (quella vera) ti prende totalmente? Una passione che non conosce confini. Così come dimostra appunto colui che ci ha riportato un simbolo, il simbolo del nostro Foggia: gli amati satanelli (e non “satanello” al singolare, come disse all’esordio qualcuno di nostra conoscenza non più tardi di qualche mese fa e che assicurò di riportarceli come una delle prime promesse). Non serve essere foggiani per coltivare una passione, a smentire chi a tutti i costi richiama la foggianità, così come allo stesso tempo c’è chi non sente il senso di appartenenza pur ricoprendo un ruolo importante riguardo il nostro giocattolo.
Un grazie dunque a questo personaggio, Massimo Mozer, che un pò tutti hanno avuto modo di conoscere e di cui spesso si favoleggiava. Si diceva di un “forestiero”, di ben altri natali e senza alcun legame territoriale con Foggia e la sua Provincia, che attraversava lo stivale pur di non perdersi una partita del suo, del nostro Foggia. Se ne parlava, ma sinceramente pensavo ad una balla messa in giro qua e là per enfatizzare sui colori rossoneri. Invece no.
Una Domenica provenivo da Milano e passai per Bologna. Il tempo di lasciare la valigia e catapultarmi giù dove mi aspettavano due amici, colleghi e soprattutto foggiani, malati come me. Di corsa affrontammo un viaggio che ci avrebbe portati ad Ancona. Era la sfida di ritorno contro i dorici, i play out per non retrocedere (l’andata allo Zaccheria vincemmo 1 a 0), un Foggia guidato da un Brini che immediatamente dopo (guarda un po’…) passò a guidare proprio i marchigiani. Facemmo dunque una folle corsa, ma avevamo anche da fare una foto con uno striscione che avrebbe dovuto risuonare come sfottò verso un collega marchigiano con cui puntualmente ci beccavamo a lavoro. Macinammo chilometri ma non si intravvedeva la possibilità di trovare uno che ci immortalasse attraverso una foto. Alla fine decidemmo di fermarci all’ultima stazione di servizio prima di entrare ad Ancona e di farci coraggio (qualcuno del posto la poteva prenderla a male). Ci posizionammo lateralmente giusto per non cercarcele. Non passava nessuno e il tempo correva inesorabilmente, finchè vedemmo nei pressi un’auto che evidentemente aveva appena fatto carburante. Un’auto e direi non certo un’utilitaria, con un ragazzo, anche di bell’aspetto. Ci facemmo coraggio pensando a uno che sicuramente ci avrebbe snobbato. “Figurati se questo si ferma”, pensammo. La fretta però ebbe la meglio, lui abbasso il finestrino al nostro richiamo e chiedemmo se poteva fotografarci poichè eravamo tifosi. “Se per lei non è un problema….” dicemmo. Per tutta risposta la persona scese dal posto di guida piuttosto stizzito e nel mentre pensavamo a qualche epiteto di troppo, lui invece si precipitò a sollevare il sedile e con nostra sorpresa tirò fuori una sciarpa, la sciarpa del Foggia. Era uno sfegatato come noi, altro che. Ricordo che ci precipitammo verso lo stadio Del Conero e con mia sorpresa, in mezzo alla folla, sempre lui sbandierava ai quattro venti anche una bandiera rossonera e lì mi precipitai a fargliela abbassare per non incorrere in qualche situazione antipatica. Vedemmo insieme la partita e mi raccontò della sua storia (davvero incredibile) e del perchè fu attratto dal Foggia.
Quella partita la perdemmo e il gelo attraversò tutti noi presenti in quella trasferta. E lui? Lui piangeva, come un bambino. Disperati sì, ma anche consapevoli che con tifosi così il Foggia sarebbe resuscitato.

Ecco chi è Massimo, colui che ha riportato a casa il nostro simbolo. Grande. F.F.

Rino La Forgia

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