Varie le accuse, che vanno dal mancato monitoraggio dei trauma cranici, al protocollo per il ritorno in campo. L'età degli accusatori va dai 60 ai 70 anni, tra questi anche Nobby Stiles, eroe dei Mondiali 1966 vinti dall'Inghilterra
Le battaglie degli sportivi contro i danni cerebrali procurati dall'attività agonistica entrano in una nuova fase. Trenta ex calciatori britannici, tra cui alcuni che hanno ricevuto diagnosi di demenza, hanno preparato un'azione legale contro la Football Association, colpevole a loro avviso di non aver protetto i calciatori e di esser stati negligenti sulle misure di prevenzione. Le accuse nello specifico sono diverse e riguardano la mancata adozione tempestiva di: limitazioni dei colpi di testa negli allenamenti, monitoraggio e trattamento medico dei traumi e un protocollo di ritorno in campo.
La decisione di far causa alla Federcalcio inglese risale a due anni fa, quando è stata preparata una prima bozza della lettera di reclamo che sarà recapitata venerdì sia alla FA che all'Ifab. Nove dei trenta giocatori, che hanno trascorsi nelle prime quattro divisioni professionistiche, saranno espressamente nominati. L'età varia tra i 60 e i 70 anni e molti hanno disturbi neurologici irreversibili, derivanti dall'encefalopatia traumatica cronica e dalla sindrome post-commotiva (cioè la permanenza dei sintomi tipici di una commozione cerebrale).
Nobby Stiles
—Alla protesta si sono unite anche diverse famiglie di calciatori deceduti che avevano questo tipo di problemi, compresa quella di Nobby Stiles, eroe dei Mondiali 1966 vinti dall'Inghilterra. L'iniziativa è sostenuta da Head for Change, un ente benefico che offre supporto a coloro che sono affetti da queste malattie, che spinge affinché sia fornito aiuto 24 ore al giorno, tutti i giorni, e sia istituito un difensore civico ad hoc, oltre alla codificazione generale delle misure preventive, su cui la FA si è mossa negli ultimi anni. La causa successiva sarà intentata dallo studio legale Rylands Garth, come riportato dalla stampa inglese, che ha già rappresentato più di 300 ex rugbisti per le stesse ragioni, nella class action più grande sul tema al di fuori dei confini statunitensi.
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