L’ala che ha fatto ammattire gli azzurri ha 19 anni ma non è una sorpresa: stellina all’Anderlecht, preso l’anno scorso a 26 milioni dal Rennes, ora ne vale almeno il doppio. Ai Reds non andò per colpa di Lukaku, adesso invece...

L’indole del giocatore si è capita quando ieri sera gli hanno chiesto con tono malizioso del rigore procurato con cui ha fatto riaprire la partita: “Chi mi conosce sa che non cado mai a terra per nulla. Se posso, sto in piedi”. Per Jeremy Doku è quella la chiave: lui vive per il dribbling, e se cade non è dribbling. Ieri ne ha messi a segno 8, record per un teenager in una grande manifestazione. Di più: anche in stagione ne ha fatti più di Neymar e Mbappé pur giocando in una squadra che fa molto meno possesso palla del Psg, è stato anche il più giovane a giocare titolare nella fase finale di un Europeo e di un Mondiale, ha fatto ammattire Di Lorenzo e per lunghi tratti i suoi spunti, all’apparenza scriteriati ma efficaci, sono stati l’unico posto di blocco tra gli azzurri e la semifinale contro la Spagna. Però chi lo conosce non si sarà sorpreso: questo ragazzo con le treccine può già essere annoverato tra i migliori al mondo nel saltare l’uomo, arte che fa sognare i tifosi e fare scacco agli allenatori che sanno sfruttarla.

L’arte

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Il dribbling è un po’ come il disegno o la chitarra: puoi imparare e magari ti viene bene, ma se col talento ci nasci è tutta un’altra cosa e si vede/si sente. Ecco, Jeremy Doku è nato 19 anni fa che probabilmente sapeva già saltare l’uomo, adesso che fa l’ala di professione ha affinato la dote portandola quasi alla perfezione. Ti secca col cambio di passo, conosce tutti i giochi di prestigio e ha pure imparato ad aiutarsi con un fisico costruito alla bisogna: appoggiando gli spalloni al difensore o di finta-controfinta alla Allen Iverson un terzino alle spalle se lo mette sempre. È quasi omonimo di uno dei grandi cattivi di Guerre Stellari, e il lato oscuro della Forza non gli è estraneo: è ancora un po’ da campetto, non sempre è continuo e non sempre la passa quando dovrebbe, ma è tutta roba che si sgrezza. La sua storia è quella di tanti talenti che i riflettori li vedono da fuori e vogliono andarci sotto: famiglia poco abbiente - “andavo a scuola coi pantaloncini di calcio, le scarpe rotte e un telefono da 15 euro” -, cresciuto a Borgerhout, quartiere difficile di Anversa dove devi lottare anche per le piccole cose, forgiato sui campetti di cemento, testa dura anche quando gli allenatori delle giovanili dell’Anderlecht, da un lato sgranavano gli occhi di fronte al suo talento e dall’altro gli dicevano di non esagerare nel puntare l’uomo. La risposta? “Finché non cado, continuo”. Come venerdì sera.

Mercato

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È che se hai doti così, vale il teorema di Insigne col tiroaggiro e dei miracoli nei testi sacri: provaci, visto che puoi. Gli allenatori lo vedono, lo sanno, e certe variabili le inseriscono pari pari nei loro piani partita. Doku l’aveva visto bene Klopp, a 15 anni era praticamente già del Liverpool. Andò anche ad Anfield a vedere le strutture e parlare coi campioni, ma l’Anderlecht si giocò la carta Lukaku: fece fare un video al bomberone, suo attuale partner d’attacco nel Belgio, in cui gli suggeriva di restare per crescere meglio, e lui accettò il consiglio contro tutti i pronostici. Ora gioca nel Rennes, che l’ha pagato 26 milioni con la speranza di farne un crack da rivendere almeno al doppio. All’inizio faceva un po’ di fatica ma nell’ultima parte di stagione ha ingranato, e la vetrina dell’Europeo potrebbe far svegliare appetiti importanti: lo stesso Klopp ci aveva visto l’erede di Sadio Mané visto che il ragazzo in fase di non possesso si impegna parecchio, adesso potrebbe tornare all’assalto. Doku, che evidentemente quando parla dice, commentò all’epoca: “Se davvero al Liverpool piaccio così tanto a 15 anni, tornerà anche più tardi. Sta a me giocare bene”.

Diavolo rosso

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Nato da genitori ghanesi ma nel giro delle nazionali dei Diavoli Rossi da quando ha 15 anni, Roberto Martinez è un altro che la variabile Doku la vede come un pregio e non come un peso: l’ha fatto esordire coi grandi nel settembre scorso contro la Danimarca, tre giorni dopo contro l’Islanda ha segnato il suo primo gol, lui che non sarà mai un bomber da doppia cifra fissa ma farà sempre la fortuna di quelli così che gli giocano accanto. L’ha anche chiamato per le qualificazioni ai Mondiali, ha preferito portare agli Europei lui piuttosto che Januzaj, che pure ha fatto bene alla Real Sociedad, o altri baby rampanti. E non ha esaltato a lanciarlo nella partita cruciale con l’Italia, preferendolo a Carrasco che è altro fior di dribblatore e puntando proprio sulla sua arte preferita per scardinare gli azzurri. Gli è andata male, ma a Doku no: i suoi graffiti sulla fascia ora li conoscono in mondovisione. E non va male nemmeno al Rennes: tra lui e l’altro baby fenomeno Camavinga, può vendere bene e camparci a lungo.

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