Previste esenzioni e proroghe, ma intanto la sensibilità del mondo del professionismo è notevolmente aumentata: da Salah a Kanter, da Ozil a Muntari, ecco i casi-simbolo
Infortuni inventati, partite di notte, vere e proprie dispute tra salute e religione. Come ogni anno è tempo di compromessi tra lo sport e l’Islam, il mese di Ramadan è alle porte: gli atleti musulmani, dalla sera del 22 marzo per i ventinove giorni successivi, osserveranno il digiuno (sawm) e non potranno quindi né bere né mangiare dall’alba al tramonto. Negli ultimi anni è aumentata la sensibilità sul tema, nel calcio più volte gli arbitri sono stati ben disponibili ad interrompere le partite per qualche minuto dopo il tramonto proprio per permettere ai giocatori di reidratarsi e mangiare qualcosa, assecondando la tendenza a tutela dell’incolumità già espressa con i cooling break. L’anno scorso ad esempio al Leicester è successo nelle sfide con Southampton e Roma, così come durante Augsburg-Mainz di Bundesliga.
POSIZIONE DEGLI ATLETI
—Il Ramadan prevede esenzioni e proroghe. Al primo caso appartengono tutti coloro che non sono fisicamente nelle condizioni di farlo, cioè bambini, anziani debilitati e malati. Chi è in viaggio o coloro che stanno rappresentando la propria bandiera (in guerra come nello sport), possono invece rinviare il digiuno. Ogni sportivo si rapporta al precetto in base alla sensibilità personale e alle indicazioni delle guide spirituali. Pur dovendo giocare la finale di Champions League, sia nel 2018 (quando aveva ricevuto un permesso speciale) che nel 2019 Mohamed Salah decise di non interrompere il periodo di astinenza. Nello stesso anno prese una decisione analoga anche Enes Kanter, giocatore all’epoca dei Portland Trailblazers in Nba con la squadra impegnata ai playoff. In occasione dei Mondiali di Russia, sia l’Arabia Saudita che l’Egitto concessero un permesso speciale ai calciatori, invece Mesut Ozil nel 2014 non volle aderire al Ramadan per essere nelle migliori condizioni durante il torneo in Brasile. Frequenti sono stati gli escamotage notturni, come è capitato alla Tunisia per l’amichevole contro la Spagna e per la gara di qualificazione alla Coppa d’Asia nel 2017 tra Palestina e Oman.
I RISCHI
—Non assumere cibo e liquidi per diverse ore in corrispondenza con l’attività sportiva comporta chiaramente dei rischi, in particolare per quanto riguarda la disidratazione. Ogni corpo, comunque, risponde in maniera differente e in tal senso incide anche la condizione psicologica. C’è chi, infatti, ha compiuto delle imprese senza bere e mangiare. Hakeem Olajuwon, leggenda degli anni Novanta degli Houston Rockets in Nba, nel febbraio 1995 giocò 14 partite facendo registrare 29.5 punti, 10 rimbalzi e 3.4 stoppate di media e venne premiato come giocatore del mese dalla Lega. L’egiziano Alaeldin Abouelkassem è stato il primo africano a vincere una medaglia (argento) nella scherma alle Olimpiadi del 2012, in pieno Ramadan. Nutrizionisti e preparatori atletici si occupano di predisporre programmi alimentari e di allenamento specifici per venire incontro alle esigenze dello sportivo, riuscendo spesso a metterlo nelle condizioni adeguate per affrontare lo sforzo.
STORIE
—Non tutti però credono che sia possibile. In Italia è celebre il caso Muntari del 2009. Mourinho lo sostituì dopo mezzora e spiegò che non era in forma a causa del Ramadan, una motivazione che non trovò d’accordo i rappresentanti della comunità islamica, fino ad arrivare ad alcune minacce anonime attraverso internet e i social rivolte all’allenatore portoghese. Lotito rincarò la dose pochi giorni dopo, dicendo di non volere in squadra coloro che osservano il digiuno: “Rispetto la libertà religiosa e i comportamenti con cui si esprime ma cerco di prevenire ciò che può ritardare la preparazione o lo svolgimento delle gare, specie se si devono disputare competizioni importanti o finali. Non ho mai trattato giocatori che abbiano questa situazione”. Uno dei casi più recenti riguarda la Francia dove Pascal Dupraz, l’allenatore del Saint-Etienne, un anno fa aveva chiesto ai giocatori musulmani di non aderire al Ramadan così da essere al massimo per il finale di stagione dove c’era una salvezza da raggiungere. Un comportamento che non favorì i rapporti con i calciatori e non servì nemmeno a centrare l’obiettivo, considerando la retrocessione dei biancoverdi.
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