Parla il cardiologo del centrocampista ghanese morto in campo in Albania: "Due anni fa il dispositivo gli aveva già salvato la vita, poi ho saputo che se l'era fatto espiantare. Voleva mettere la sua vita nelle mani di Dio"

Filippo Maria Ricci @ filippomricci

Rapahael Dwamena è morto sabato scorso, a 28 anni. Era ghanese e faceva il calciatore. In Europa dal 2014, tra Austria, Svizzera, Spagna, Danimarca, ancora Austria e infine Albania, giocava nell’Egnatia ed era il capocannoniere della Kategoria Superiore, la A albanese, 9 gol in 10 partite. Sabato è deceduto in campo durante la partita col Partizani. 

LA LETTERA

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Dwamena aveva gravi problemi di cuore, evidenziati da tanti anni. Nel 2019 la cosa fece saltare il suo trasferimento dallo Zurigo al Brighton, col prezzo del cartellino già fissato in 12 milioni. Questa mattina sull’Heraldo de Aragon, quotidiano di Saragozza, è stata pubblicata una lettera aperta inviata dal cardiologo Antonio Asso Abadia, il medico che lo ebbe in cura quando passò dal Saragozza (in prestito dal Levante) nel 2019. "Conobbi Dwamena nell’ottobre del 2019 – scrive il cardiologo – quando il medico del Saragozza mi chiese un parere, preoccupato per i frequenti giramenti di testa sofferti dal giocatore nelle ultime partite. Mesi prima gli era stato applicato un minuscolo monitor sottocutaneo e i valori erano inequivocabili a proposito della relazione dei sintomi con gravi aritmie ventricolari che si producevano durante le partite". 

IL DEFIBRILLATORE

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"Riuscimmo a convincerlo della necessità dell’impianto di un defibrillatore per cercare di salvargli la vita, e allo stesso tempo gli sconsigliammo la pratica sportiva a livello professionale. Gli dissi che in un futuro avremmo potuto provare a correggere il difetto con un’ablazione, ma che per farlo doveva restare vivo, da qui la necessità del defibrillatore". 

LA SCELTA

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"Raphael era un gran ragazzo, nobile e con uno sguardo pulito, non si dava arie da star. Si fece mettere il defibrillatore e lasciò la Spagna. Per un po’ ci siamo sentiti, mi chiedeva consigli che gli davo volentieri, anche se ero cosciente del fatto che non mi ascoltasse: voleva continuare a tutti i costi la sua carriera sportiva e persi la speranza di poter influire nelle sue decisioni. Poi l’ho perso di vista. Un paio di anni fa mi dissero che durante una partita il defibrillatore gli aveva salvato la vita facendo il suo lavoro per fermare un’aritmia maligna (era un incontro della coppa austriaca, ndr), e circa un anno fa seppi che si era fatto togliere il defibrillatore, in Svizzera se non sbaglio". Questo disse Dwamena al giornale svizzero Neue Zurcher Zeitung: "Se muoio, è per la volontà di Dio. Me ne vado e basta, Dimenticato. Le persone che mi sono vicine saranno tristi per alcune ore, magari qualche settimana, però supereranno la cosa e andranno avanti, Non vivo per compiacere la gente, ma solo Dio". 

trAGEDIA ANNUNCIATA

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Ancora il dottor Asso: "Aveva deciso di porre tutta la responsabilità della sua vita nelle mani proprie e in quelle di Dio, nel quale credeva ciecamente. Da quel momento ero perfettamente cosciente che un giorno sarebbe successa la tragedia che si è consumata sabato in Albania". 

DECISIONE RISPETTABILE

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 "Raphael è morto a conseguenza di una decisione personale, però se non si fosse tolto il defibrillatore oggi sarebbe ancora vivo. È il finale di una triste e prevedibile storia. A volte le notizie sono confuse, e conviene chiarire per le migliaia di pazienti che portano con fiducia nel proprio corpo un defibrillatore, che non è morto qualcuno che aveva il defibrillatore, ma qualcuno che NON lo aveva".

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