Dal quadrilatero delle meraviglie della nazionale spagnola al Barcellona di Messi, il catalano ha avuto una carriera formidabile. Fino al lento declino col Monaco
Nel quadrilatero delle meraviglie della Spagna che vinceva l’Europeo 2008 inaugurando una dittatura (sarebbero seguiti il Mondiale 2010 e Euro 2012), Cesc Fabregas era un riassunto vivente delle eccellenti qualità dei compagni che lo affiancavano. Non aveva in dotazione l’enciclopedia del calcio come Xavi, ma ne conosceva i capitoli decisivi. Non era sostenuto nelle sue giocate dalla magia che impreziosiva ogni tocco di palla di Iniesta, ma sapeva far brillare il suo gioco, pur conscio che il Calcio migliore si sviluppa “in levare” non aggiungendo inutili orpelli. Non aveva la classe pollicina di David Silva e nemmeno la sua capacità di disegnare segmenti di luce in mezzo al campo, ma lo assisteva senza sfigurare, anzi riuscendo a ricavarsi ogni volta un piedistallo sopra cui salire per dimostrare che gran centrocampista era. Forse significa poco, ma il numero 10 - in quella Spagna - era di sua proprietà.