Monaco, la notte di Mou e Lippi
Porta con sé il nome della sua città natale dove tutto è cominciato, qualcosa non è andato e dove dopo quindici anni di attesa è arrivato il momento del riscatto. Nel frattempo Flavio Roma si è sporcato i guanti e ha realizzato qualche sogno a Monaco, a due passi dall’Italia, dove è arrivato nel 2001 ed è diventato il Principe che sognava di essere. Nel maggio 2004 Flavio si è dovuto inchinare alla grandezza dell’astro nascente Mourinho in finale di Champions, nel 2006 invece di fronte alla cattiva sorte che gli ha tolto il Mondiale. Tre anni dopo il Milan ha chiamato e Flavio ha preso l’occasione a modo suo: al volo con l’istinto. Flavio Roma ha scherzato con Ibra, forse avrebbe potuto giocare con Ronaldo, ha visto crescere il mito Mbappé a due passi da casa. E sogna di allenare, tra i pali ovviamente.
Flavio, che cosa ha fatto dopo aver smesso di giocare? Di che cosa si occupa oggi?
Dopo aver smesso sono stato fermo per un anno e mezzo. Ho preso i diplomi da allenatore, poi ho cominciato a lavorare nel settore giovanile del Monaco come allenatore dei portieri e l’ho fatto per tre anni. Mi sono fermato per scelta: volevo approfittarne per prendere un altro diploma da allenatore dei portieri in Italia, sono passaggi obbligatori per lavorare a livello professionistico. Ho colto l’occasione per farlo, il resto si vedrà. Vivo a Monaco chiuso in casa per il Covid, un po’ meno rispetto a voi in Italia.
Monaco le ha cambiato la vita?
Sicuramente sì. Nel 2001 sono partito da una piccola realtà come Piacenza e mi sono ritrovato a Monaco, una squadra conosciuta a livello europeo, importante in Francia e in Europa: aveva vinto e lì erano esplosi giocatori come Weah, Djorkaeff e Thuram. A Monaco ho giocato le coppe europee, ho lottato più o meno tutti gli anni per l’alta classifica in Ligue 1, sono riuscito ad arrivare in Nazionale grazie anche alle prestazioni col Monaco. Sicuramente mi ha cambiato la vita: gran parte della carriera l’ho fatta qui.
Monaco per lei rappresenta un riscatto? In Italia non aveva trovato spazio…
Non so se è stato un riscatto. Sono venuto in Francia senza pensarci, ho avuto questa occasione e l’ho presa al volo. In Italia era difficile. Penso di essere stato un buon portiere da giovane: avevo giocato in Serie A dopo tanti anni di B con ottimi risultati. Nonostante questo imporsi in Italia era molto difficile. Mi sono ritrovato in Francia quasi per caso: non l’ho cercato, non avevo pensato di andare all’estero.
Tanti calciatori italiani hanno giocato nel Monaco: ci si trova bene?
Ci si trova bene. Vivere qui significa non essere davvero all’estero: in Inghilterra oppure in Germania è diverso. Vivi al confine, può permetterti di tornare a casa in Italia se non vivi troppo lontano. Sei ben collegato: ci sono treni che passano per la Liguria o per il Piemonte, Milano stessa non è poi così lontana.
Nel 2003-04 lei ha perso la Champions contro il Porto di Mourinho: brucia ancora?
Purtroppo sì. Siamo caduti contro il mito Mourinho nato quell’anno. È stata una bellissima stagione, piena di soddisfazioni a livello sportivo, a parte quella finale persa. Per chi compete, per chi gioca a calcio, per chi è vicino a vincere, arrivare secondi è dura. Non sono contento, non siamo contenti per come è finita. Il percorso e la bella stagione non si cancellano, ma siamo rimasti senza niente in mano.
Com’era il Porto di Mourinho?
C’era gente affermata, tanti nazionali, giocatori che avevano disputato le coppe europee e possedevano una maturità calcistica superiore alla nostra. A livello tecnico c’era qualche calciatore che stava venendo fuori ad alti livelli in quel periodo. Il 3-0 per loro sembra un risultato netto, la partita però è stata più equilibrata. Abbiamo avuto le nostre possibilità, ma non le abbiamo sfruttate. Loro sono stati più bravi.
Il vostro allenatore era Didier Deschamps: che rapporto c’era tra voi al Monaco?
Didier ha lavorato con noi per cinque anni e ogni tanto ci incontriamo perché lui vive qui vicino Monaco. Ho bellissimi ricordi. Quando c’era lui ho avuto la fortuna di giocare, Didier mi ha sempre fatto sentire importante nel gruppo. Penso che sia stato chiaro e sincero con me, lo reputo un buon allenatore. Ha fatto grandi cose al Marsiglia e con la Francia. Con noi è nato, ma poi si è affermato sempre di più.
Quale è stato il suo compagno di squadra più strano nelle sue stagioni al Monaco?
Strano non saprei. Qui ho trovato un miscuglio di cultura che in Italia non c’era. Quando sono arrivato avevo al mio fianco nigeriani e congolesi, togolesi e senegalesi. Ognuno di loro era particolare a modo suo. C’era molta superstizione da parte degli africani: noi europei li prendevamo in giro, loro ci tenevano molto e a volte si arrabbiavano seriamente, perché le loro credenze non devono essere toccate.
Nel 2005-06 al Monaco sono arrivati Vieri e Di Vaio, in panchina Guidolin: cosa ricorda?
Conoscevo Marco dai tempi del settore giovanile della Lazio ed è stato un piacere rivederlo a Monaco dopo tanti anni, è stato bello giocare insieme da professionisti dopo essere cresciuti insieme da bambini. Purtroppo sono arrivati al Monaco in un anno difficile: il presidente aveva avuto problemi economici e avevamo cambiato proprietà. Penso che Di Vaio e Vieri siano stati qui di passaggio perché il momento era negativo per tutti. Le loro qualità non si discutono: Marco andava a mille, Christian stava cercando di andare al Mondiale. Fosse stata un’altra stagione avrebbero trovato continuità e sarebbero rimasti qui.
Il Mondiale 2006 è un suo rimpianto? Aveva sperato nella convocazione fino alla fine?
Sì, ci avevo sperato. Avevo ricevuto tante convocazioni da Lippi. Purtroppo ho passato un brutto anno prima del Mondiale: mi sono fatto male in Irlanda-Italia dell’agosto 2005 e ho avuto grossi problemi perché l’infortunio non era lieve come sembrava e sono stato fermo per quattro-cinque mesi, ho subito anche due operazioni. Sono rientrato tra marzo e aprile del 2006, ma era tardi ormai. Avevo ripreso a giocare in campionato e stavo bene. Ci sono rimasto malissimo quando ho saputo che non sarei andato al Mondiale. Ci ho sperato fino alla fine, ho perso un’occasione unica. Andare avanti è stata davvero dura. Non ho niente con Lippi. Il mister doveva puntare su un gruppo sano, non poteva permettersi che qualcuno stesse così e così. Col senno di poi ha azzeccato tutte le scelte quindi non ho niente da dire.