Il 2 maggio 1986 la conquista della Coppa delle Coppe, in finale sul favorito Atletico Madrid, fu l'apoteosi di un progetto scientifico che mise a tacere gli scettici
Valerij Lobanovski, detto il “Colonnello” per il suo passato nell’esercito, sostiene che “nel calcio tutto è numero e ogni azione di gioco è un’equazione da risolvere”. Classe 1939, laureato in termoingegneria, portamento fiero, nella sua prima vita è stato un discreto ex attaccante, poi è diventato il più giovane allenatore dell’Unione Sovietica. È fissato con la preparazione fisica, quando ha cominciato - a metà anni 70 - ad allenare la Dinamo Kiev ha voluto con sé il professor Valentin Petrovsky, il preparatore che ha portato Valery Borzov - soprannominato “Il missile a due gambe” - a diventare l’uomo più veloce della terra. Autoritario, rigido nelle sue convinzioni, tetragono nella posa, temuto ma rispettato come una divinità: con la Dinamo Kiev - nel conteggio di quella primavera del 1986 - ci sono otto campionati sovietici, sei coppe nazionali e la Coppa delle Coppe del 1975, battendo in finale gli ungheresi del Ferencvàros. Ma negli anni 70 il calcio in televisione si vede ancora poco, e Lobanovski lo conoscono in pochi. E molti, tra quei pochi, lo etichettano come una sorta di scienziato pazzo, da folclore sovietico. Ora però - in questo anticipo di estate del 1986 - il mondo è cambiato, Lobanovski di anni ne ha quarantasette. E sta facendo la rivoluzione.