La Premier League inasprisce le pene: il campo non è mica uno speaker’s corner. Ma allora le modelle, i paracaduti, il Falco, Cavallo Pazzo, le urla di Capello...

Tu chiamale se vuoi: invasioni. Pacifiche o violente, siamo tutti d’accordo: quasi sempre inopportune; talvolta pittoresche, di massa o solitarie, pianificate o nate dalla scintilla di un gol, di uno scudetto vinto, di una salvezza conquistata all’ultimo minuto dell’ultima giornata. Hanno sempre parte della coreografia del calcio e in fondo - quando ovviamente non declinavano in tragedie - sono state accettate, prese per quelle che erano: momenti in cui il tifoso/i tifosi si prendevano la scena nel mezzo dello spettacolo, come se qualcuno in platea fosse salito sul palco a dar contezza di sé. L’antropologo inglese Desmond Morris - autore dell’imprescindibile “La tribù del calcio” - le definiva “esibizioni tribali” e in fondo catalogava le invasioni come un elemento che andava a contribuire al fascino della tribù.

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