Il tecnico marchigiano ha conquistato la Coppa d'Irlanda dopo aver condotto il suo club ai gironi di Europa League: "Mi piace la strategia e m'ispiro al generale Carl von Clausewitz"

dal nostro corrispondente Stefano Boldrini

Sotto il cielo d'Irlanda domenica sera un allenatore italiano ha sollevato un trofeo, la Coppa nazionale, prendendosi una bella rivincita dopo cento giorni di lavoro di vento contrario. Filippo Giovagnoli, 50 anni, nato a Città di Castello, ma cresciuto a Apecchio, paese marchigiano di 1.700 abitanti della provincia di Pesaro, dal 25 agosto guida il Dundalk, club fondato nel 1903 e secondo per numero di successi nel calcio made in Ireland. In poco più di tre mesi, Giovagnoli ha portato il Dundalk prima alla fase a gruppi dell'Europa League, poi ha rimontato posizioni in campionato chiudendo al terzo posto e, infine, ha conquistato la 12esima coppa nazionale, superando 4-2 ai tempi supplementari lo Shamrock Dovers a Dublino. Giovedì, contro l'Arsenal, ultimo match della stagione: da venerdì tutti in vacanza.

Il personaggio

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Dal paese della birra e del tartufo – a Apecchio la produzione è particolarmente pregiata – alla Grande mela, soprannome di New York: la vita di Filippo Giovagnoli è in questi due estremi. "Non ho una storia importante da calciatore. Giocavo in Serie D, difensore. Il fisico possente mi avrebbe permesso di salire di categoria, ma a quel tempo la situazione economica generale era più serena e anche chi frequentava la quinta serie poteva condurre una vita dignitosa. Ho indossato le maglie di Vadese, Sansepolcro, Imolese, Città di Castello, Colligiana. L'unica esperienza in C è legata alla Rondinella, dove allenava un ex giocatore della Fiorentina, Ennio Pellegrini. Un infortunio alla caviglia mi riportò in Serie D, poi mi dedicai allo studio per laurearmi in scienze motorie a Urbino e iniziai a fare il calciatore-allenatore. All'inizio non ero convinto, ma poi scoppiò la passione e si spalancarono nuovi orizzonti. Quando mi offrirono l'opportunità di occuparmi di un Milan campus, presi al volo quest'autobus. Il passo decisivo fu il Milan campus di New York: la svolta. Ho trascorso otto anni negli Stati Uniti, imparando la lingua inglese, girando il paese in lungo e largo e frequentando i corsi da istruttore delle accademie in cui non ti insegnano solo gli aspetti tecnico-tattici, ma viene dedicata una parte importante agli aspetti manageriali. Dal 2014 al 2020 sono stato il responsabile della Metropolitan Oval Academy. Quest'estate, all'improvviso, una chiamata ha cambiato nuovamente la mia vita: mi ha contattato il Dundalk e ho accettato".

IL VENTO D'IRLANDA

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"Io e il mio vice, Giuseppe Rossi, anche lui di Apecchio, non siamo stati accolti bene. C'era scetticismo nei nostri confronti perché i nostri nomi erano sconosciuti. Non ci hanno fatto sconti dal primo giorno e sinceramente, dopo aver vissuto in una metropoli come New York, non pensavo di ritrovarmi a vivere una situazione simile. Noi italiani siamo però gente tosta e in questi cento giorni ci siamo guadagnati il rispetto, anche se nel calcio basta una sconfitta per rimettere tutto in discussione. Viviamo in un bed and breakfast, a cinquanta metri dallo stadio. Lavoriamo dalla mattina alla sera. Abbiamo cercato di modernizzare molte cose, compreso lo stile di gioco. In Irlanda si pratica ancora il calcio di lotta e di corsa. Abbiamo introdotto nel Dundalk criteri come il possesso palla e l'impostazione dell'azione a partire dal portiere".

La vita irlandese

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"Dundalk è a metà strada tra Belfast e Dublino. È a sette chilometri dal confine tra le due Irlande. È una piccola realtà dove si sta bene e dove, per ora, non si respirano ancora le atmosfere della Brexit, ma dove, ripeto, lo straniero è accolto con scetticismo. Il calcio in Irlanda non è lo sport più popolare: rugby e football gaelico sono molto più importanti. Abbiamo giocato la finale della coppa in un fondo disastrato perché allo stadio Aviva il giorno prima si era svolto un incontro di rugby".

Affetti e hobby

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"La famiglia, mia moglie Maura insegnante elementare e mio figlio Giona di 10 anni, è il centro del mio universo. In questo momento sono in Italia. Siamo lontani da tre mesi e abbiamo vissuto separati le chiusure della seconda ondata del Covid. Nel poco tempo libero che resta, mi piace seguire gli sport da combattimento e leggere le biografie dei grandi condottieri della storia. Il personaggio che mi ha entusiasmato di più è il tedesco Carl von Clausewitz, generale dell'esercito prussiano. Il suo manuale sulle strategie della guerra è un capolavoro. Il futuro? Ora sono qui e sto vivendo un'esperienza entusiasmante. Dopo l'Irlanda, chissà. Ho gli Usa e New York nel cuore, ma sono aperto a tutte le soluzioni. Viaggiare e conoscere nuovi mondi non mi spaventa. La mia storia parla chiaro".

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