Il tecnico di Reggiolo ha ricevuto la laurea ad honorem in Scienze e Tecniche delle Attività motorie: "Sacchi un marziano. Io non impongo le idee, cerco di trasmetterle"

Andrea Schianchi 

Una laurea ad honorem val ben qualche lacrima. "Siamo una famiglia geneticamente predisposta alla commozione, quindi in un momento tanto emozionante è normale che reagisca in questa modo", dice Carlo Ancelotti, neodottore in Scienze e Tecniche delle Attività motorie preventive e adattate. A conferirgli il titolo accademico è stata ieri l'Università di Parma. La cerimonia si è tenuta all'Auditorium Paganini, davanti a un pubblico di cinquecento spettatori, tra i quali moltissimi studenti. Dopo il discorso di apertura del rettore Paolo Andrei, che ha tracciato il percorso sportivo di Ancelotti, c'è stata la "Laudatio" pronunciata da Marco Vitale e Luigi Garlando, e quindi la Lectio Doctoralis dell'attuale allenatore del Real Madrid dal titolo "Il calcio, una scuola di vita". 

gli amici

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In sala presenti numerosi personaggi del mondo del calcio, da Arrigo Sacchi ad Ariedo Braida, dal tecnico del Parma Fabio Pecchia (che ha donato a Carletto una maglietta crociata) a Vincenzo Pincolini, storico preparatore atletico del Milan e amico di Carletto da una vita. Il discorso di Ancelotti ha spaziato lungo i 44 anni di esperienza nel mondo del calcio, da giocatore e da allenatore, ed è stato più volte sottolineato dagli applausi del pubblico. Sempre con il solito sopracciglio sinistro alzato (segnale che l'emozione è davvero molto elevata), Carletto è partito ricordando gli esordi da calciatore al Parma, la famosa doppietta realizzata nello spareggio contro la Triestina per la promozione in Serie B nel 1979, poi l'avventura alla Roma, quindi al Milan e, senza nemmeno bere un sorso d'acqua, subito il tuffo nella carriera da allenatore. Con un notevole padronanza del palcoscenico, e gettando soltanto qualche rapida occhiata agli appunti, Ancelotti è andato "a braccio" tra la sorpresa del pubblico che immaginava di assistere a un discorso ingessato. Macchè ingessato! Quando c'è di mezzo Ancelotti tutto è spontaneo, tutto genuino, tutto contadino. E il richiamo alla terra d'origine, alla campagna di Reggiolo, è stato lui stesso a farlo quando ha ripercorso gli anni dell'infanzia, le partite di pallone all'oratorio, gli insegnamenti di papà Giuseppe e mamma Cecilia. Per la gioia della sorella Angela, presente in sala.

la lectio doctoralis

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 Alcuni estratti dalla sua Lectio Doctoralis: "Il talento è un fatto di genetica, non lo si può allenare. Fare calcio mi ha aiutato a migliorare la relazione con gli altri, mi ha aiutato ad avere rispetto per le regole, per gli avversari e per i compagni". E ancora: "Essere un allenatore significa soprattutto saper ascoltare gli altri, i collaboratori e i giocatori, e poi prendere delle decisioni. Io cerco di trasmettere le mie idee attraverso la persuasione, e non imponendole. Sono calmo, tranquillo, paziente. Molto paziente. E, soprattutto, ho la fortuna di essere sorretto da una grande passione per questo sport. Una passione che avevo a quindici anni e che ho ancora oggi". In prima fila ad applaudire Arrigo Sacchi, e Ancelotti gli ha dedicato queste parole: "Arrigo è stato un marziano. Ha avuto la forza e il coraggio di innovare in un ambiente che era un po' indietro, molto ancorato alla tradizione". Al termine della cerimonia Ancelotti, che era accompagnato dalla moglie Marianna, ha fatto rientro a Madrid. "Se non sto sul campo, non mi diverto". Questo è il segreto del successo per l'allenatore più vincente che sia.

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