Dalla serie B italiana al Psg, con 30 trofei in 11 anni. Poi la rottura con Luis Enrique e ora l'avventura araba. Con un occhio al passato: "Mi guardo tutte le partite del Psg e del Pescara"

Alessandro Grandesso

Nessun rimpianto e nessun rancore. Marco Verratti ha detto addio al Psg quest'estate, dopo 11 anni intensi, ricchi di 30 titoli, di molti momenti di gioia e qualche tonfo e delusione, fino alla separazione estiva, decisa da Luis Enrique. Il centrocampista ormai migrato all'Al Arabi di Doha ha fatto un bilancio con l'Equipe: “Non si resta a Parigi tanti anni se non ne sei innamorato”. 

DIVORZIO

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Una storia d'amore, dunque, iniziata nel 2012 quando arrivò da Pescara, la Serie B e una vita di provincia, nella capitale francese. Fu subito un colpo di fulmine. A Parigi Verratti si è affermato come uno dei più brillanti centrocampisti della scena calcistica, diventando poi uomo, marito, padre di famiglia e titolare persino di un ristorante. Insomma, la sua vita è tutta parigina, nonostante il divorzio dal Psg, bruscamente imposto la scorsa estate: “Luis Enrique mi ha detto che non contava più su di me, non ci ho visto una questione personale, non ho nemici nella mia vita, preferisco quando le cose sono chiare”. 

PROPOSTE

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Direzione Doha, anche perché Verratti ha rifiutato proposte dall'Europa: “Non volevo ritrovarmi a giocare contro il Psg”. Una posizione comprensibile dopo aver di fatto costruito il nuovo Psg, partendo da zero con l'arrivo del fondo dell'emiro del Qatar e di tanti grandi giocatori: “Da Ibrahimovic a Maxwell, da Pastore a Lavezzi, Sirigu». Oppure ancora il centrocampo “con Thiago Motta e Matuidi: eravamo molto complementari”. E senza dimenticare Mbappé: “Anche lui ci ha portato qualcosa di incredibile, in campo ci ha fatto fare un salto di qualità”. 

CRITICHE

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Non sono mancati momenti di sconforto: “La rimonta subita con il Barcellona nel 2017, mai digerita. Una cosa da pazzi”. Oppure le critiche per il suo stile di vita: “Non mi sono mai nascosto e non sono uno che rimane a casa tutto il tempo. In undici anni parigini è normale che mi si incroci di più in città. Sono sempre stato molto professionale, non sono mai arrivato in ritardo di un minuto a un allenamento in undici anni. Sono stato sempre titolare con tutti gli allenatori che di certo non ti fanno regali”. 

RICONOSCENZA

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Adesso c'è Doha e l'Al Arabi: “Mi diverto ancora ad allenarmi, a giocare le partite anche se non è lo stesso livello di prima, posso far crescere il campionato, dare consigli ai compagni di squadra”. Parigi rimane nel cuore: “Ne vedo tutte le partite, come quelle del Pescara. Al Psg ci sono stati molti cambiamenti, c'è bisogno di tempo per capire le idee dell'allenatore, un grande che può fare belle cose. Avrei potuto dare il mio contributo, e certi compagni mi hanno pregato di restare, è la più grande riconoscenza”.

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